INTERVISTA A ROBERTO PECCOLO a cura di Alberto Zanchetta


Zanchetta - Lo scorso anno hai spento le trentacinque candeline che commemoravano l’attività di galleria e a breve ti appresterai a varcare la soglia delle trecento mostre (sono cifre invidiabili, decisamente lungimiranti). Vediamo di ricapitolare: nel 1969 esordivi con il futurismo, seguirono poi l’astrazione geometrica, l’arte concreta, l’optical, il concettuale, la pittura analitica, l’informale, l’espressionismo astratto, Fluxus, Nouveau réalisme, l’art brut. Il gusto cambia ma non si rinnega?

Peccolo - Giusto! Il gusto cambia, si rinnova, attraversa travagliati percorsi o sorridenti successi (ma bisogna sempre stare all'erta con questi ultimi), si modifica e poi rispunta fuori inaspettatamente diverso da come lo prevedevi oppure, meglio, lo riscopri in cose, opere, persone dove non avresti mai previsto di ritrovarlo. Insomma è la meravigliosa avventura del gusto e le ragioni delle sue mutazioni che ci spinge sempre in avanti, "fuori dalla caverna". E l'unica certezza che resta sempre inalterata è riconoscere la qualità, anche quando questa è situata in cose o persone che senti al tuo contrario.Non ho mai visto alternative. Forse quando festeggerò i miei quaranta anni di attività magari ti risponderò diversamente. Spero senza rinnegare niente.             

Zanchetta - Hai sempre cercato di dare un taglio internazionale alla tua attività intessendo rapporti con l’estero, in particolare con l’Olanda, il Belgio, la Francia e la Germania. A Köln avevi persino aperto una galleria...
Nel 1999 hai presentato la personale di Hans Hofmann; di lui Greenberg scrisse che, nonostante l’indubbio valore, è «forse l’artista più difficile da afferrare e da apprezzare». Credo che in questa affermazione si riassuma la tua inclinazione per un’arte di ricerca ma non facilmente assimilata dalla critica, tanto meno dal mercato.

Peccolo - Perchè sono proprio gli artisti "più difficili da afferrare e da apprezzare" che ti impongono una maggiore concentrazione e quindi una riflessione sulle tue potenzialità di comprensione e di assimilazione del loro lavoro.Ti impegnano per poterli aiutare e allo stesso tempo ti aiutano a migliorare le tue conoscenze e i tuoi metodi.Qualcosa di molto simile a quello che ti succede con un proprio figlio difficile o disadattato.E alla fine, quando riesci nei tuoi intenti, la soddisfazione che ne ricevi è enormemente più forte, anche economicamente.Per entrare nello specifico ho fatto al mostra di H. Hofmann perchè venivo da una serie di mostre su artisti newyorkesi degli anni '50/60 "action-painting" (Goldberg, Bluhm, Parker) e mi sono detto che non potevo non far vedere il lavoro di quello che era stato l'insegnante di molti di loro. Tanta della pittura americana degli anni 50 era sgorgata dall'atelier di N.Y. (la stessa moglie di Pollock, Lee Krasner era stata sua allieva) dove questo vecchio bavarese insegnava ma, parlando ai suoi allievi in uno strano "slang" tedesco/americano, non sempre capito, era costretto a spiegarsi mostrandogli il "farsi" della pittura con esempi diretti. Ecco, da qui la sua produzione di numerosi fogli di pittura su carta di piccolo formato (dal costo basso e dalla bellezza compositiva intatta, ancora 40 anni dopo).      

Zanchetta - Quando ci conoscemmo un forte legante fu l’interesse per la riscoperta di artisti ingiustamente dimenticati oppure considerati, a torto, dei “minori”. Nel tuo caso ti sei industriato nella riscoperta di figure atipiche quali Gabriele Gabrielli e Francesco Di Cocco, organizzato mostre postume di Alfano, Agnetti, Costa, Romagnoni, un compito che dovrebbe essere demandato ai musei visto che comporta più oneri – monetari! come molti mi rimproverano – che onori.

Peccolo - Appunto quando i Musei, o meglio chi ne organizza le loro manifestazioni, se la prendono comoda e, come fossero in vacanza, inseguono solo il facile successo delle mostre "alla moda" o che fanno tendenza, o utili solo alla loro carriera, qualcuno dovrà pur sentirsi in dovere di prendere il testimone e lavorare affinchè artisti di tutto rispetto internazionale, lo siano di nuovo. E i quattro nomi che hai detto, fra i tanti altri che si potevano citare, sono in questo senso "eclatanti": tutti e quattro sono stati artisti che hanno significato alcuni dei momenti più forti della vicenda artistica italiana degli anni '60 e '70. Credo che non ci sia qui bisogno di spiegare tra noi le ragioni e il perchè della loro momentanea assenza dagli "onori". Ma, appunto, qualcuno deve pur segnalarlo ai responsabili del settore.       

Zanchetta - Nel corso degli anni hai stretto amicizie e instaurato moltissimi sodalizi con gli artisti, sia tra gli storici che tra i giovani. Vorrei ne ricordassi almeno tre, quelli con Winfred Gaul, Lucio Pozzi e Albano Morandi.

Peccolo - Winfred Gaul è stato il primo artista tedesco con cui ho collaborato ma con lui la collaborazione, con il passare degli anni, è diventata amicizia fraterna.Cercavamo di affrontare insieme soluzioni a problemi comuni, sia in campo economico che in campo artistico.Esempio presentarci a vicenda collezionisti, interessati a comprare; direttori di Musei, interessati ai temi della pittura che a noi piaceva (quella più analitica e autoreferente) ai quali proporre mostre su questo tema.Fu lui che, invitandomi e ospitandomi nel mio primo viaggio in Germania (1971), mi aiutò a sprovincializzarmi ed a capire meglio il ruolo che la mia professione aveva nel complesso della scena artistica internazionale, di quegli anni. Grazie a lui e a quel viaggio, riuscii a togliermi di dosso la polvere della provincia che rischiava di fossilizzarmi. E' stato in quegli anni che apriì la Galleria Peccolo a Koln (che poi è durata solo 3 anni).Durante tutti questi anni ho fatto numerose sue mostre nella mia Galleria a Livorno e ne ho organizzate altrettante in spazi pubblici e gallerie private; ed ho intenzione di continuare in seguito anche se ora lui non può più venire al vernissage. E' mancato 2 anni fa.  
Con Lucio Pozzi ci siamo incontrati nel 1977 e da allora siamo ottimi amici e ci stimiamo enormemente, anche se di lui, in tutti questi anni, ho fatto solo 3 mostre personali.Ho inserito i suoi lavori in molte collettive a tema ed ho già edito sul suo lavoro alcuni bei libri esplicativi del suo modo di lavorare, dei quali siamo entrambi orgogliosi. Invece con Albano Morandi, come con Corrado Bonomi o Raffaella Formenti e altri ancora, che sono di una generazione più giovane, cerco più un rapporto da compagno di strada: lavorare insieme su progetti di mostre, organizzare collettive, articoli o altro sui temi che li coinvolgono. Insomma tutta la normale routine di lavoro che chiunque pensi di voler fare seriamente questa professione deve cercar di produrre per gli artisti con cui collabora.