2006 - RifiutINarte

Negli ultimi dieci anni sono state fatte molte mostre d’arte moderna, anche museali, concentrate sul tema del rifiuto urbano e del come molti artisti moderni riutilizzino questi “cascami”; ( con una società contemporanea quale la nostra, sempre più incanalata verso il consumismo e quindi costretta quotidianamente a praticare il rigetto degli avanzi, la materia prima per gli artisti abbonda ! ).Le mostre più famose, tra le tante, furono “Trash: quando i rifiuti diventano arte” curata da Lea Vergine per il MART di Rovereto e quella a Palazzo Forti di Verona ”Dadaismo Dadaismi” in cui il curatore Giorgio Cortenova ricostruiva un percorso storico sul tema.L’anno scorso io stesso ho organizzato, con la collaborazione dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Brescia e il sostegno della Comunità Montana di Valle Sabbia, nelle cittadine della provincia bresciana Vobarno, Roè Volciano, Odolo e Gavardo, in quattro immensi spazi tutte ex-fabbriche della zona ( cotonifici e acciaierie restaurate e recuperate all’uso per eventi culturali -e anche questo fatto aveva creato un significativo legame tra le opere esposte e il loro contenitore- ), una rassegna sul tema di un’arte costruita attraverso il ri-uso, il riciclaggio degli oggetti trovati di cui gli artisti si appropriano per poi riutilizzarli nelle proprie opere. Già il titolo della mostra pretendeva di essere indicativo “Rifiuto Riusato ad arte”. Una rapida panoramica in cui avevo riunito opere di artisti più anziani, già operativi negli anni tra il 1950 e 1960, insieme, e quindi anche a confronto, con le opere di altri artisti di una o due generazioni più giovani. E nell’Antico Mulino di Gavardo avevo esposto una sezione di fotografi che durante gli anni ‘60/70 avevano scelto come tema delle loro foto le discariche urbane.Come abbiamo visto un modo di lavorare che nell’Arte Contemporanea viene da lontano e i cui progenitori storici riconosciuti sono stati gli artisti “Dada” ( operanti negli anni del primo dopoguerra, tra il 1912 e 1930 ). Allora si trattava di oggetti accumulati e riassemblati con intenzioni dissacratorie contro la stessa idea, ancora romantica, di ”Arte” e quindi oggetti che volevano costringere lo spettatore ad una reazione. E, come previsto, questa era, appunto, spesso di ripulsa o di negazione. Eppure l’introdurre in una Galleria o Museo una ruota di bicicletta o un attaccapanni o, nel caso ancora più estremo ed eclatante, un orinatoio da cesso ( intitolandolo “R. Mutt”-fontana- ), costringeva il pubblico dell’arte ad interrogarsi sul concetto di “Arte”; sulla stessa funzione e ricezione di un’opera d’arte nella società e sul suo funzionamento in quanto “oggetto” carico di simbologie e di significati. Nella mia rassegna avevo scelto artisti che utilizzavano pur sempre oggetti accumulati e riassemblati però con un metodo di lavoro più vicino al Dadaismo di Schwitters che non a quello di Duchanp. Nel senso che gli oggetti prescelti e riutilizzati non si arrestavano sulla soglia della semplice ricollocazione e dello spiazzamento atto a suscitare interrogazioni sulla funzione dell’opera d’arte, ma entravano nell’ambito dell’opera e gli stessi oggetti erano scelti e utilizzati per il loro colore o perché forme già pronte che sostituivano, o depistavano, altre troppo riconoscibili. Infatti si vede, nelle opere di questi artisti a noi più vicini, una relazione che discende dai lontani progenitori Dadaisti ma poi subito dopo, come padri da poco ripudiati, si sente ancora la stretta relazione con le opere dei Nouveaux Realistes francesi degli anni ’60 (artisti come Arman, Cèsar, Tinguely, Rotella, ecc.). Negli oggetti trovati e ricreati i Novorealisti avevano modificato molte cose in confronto all’uso che ne facevano i Dadaisti, sia riguardo alla realizzazione dell’opera che nell’atteggiamento di fondo. C’è una frase di Arman che mi aveva colpito molto e che chiarisce bene la differenza: “un bullone dà di se un’immagine, cinquecento bulloni messi dentro una scatola trasparente tutti assemblati insieme, un po’ alla rinfusa, me ne danno un’altra; anzi l’insieme esalta forme o figure che non avevo nemmeno previsto, ma che ritrovo nel momento in cui le vedo”.Oggi le nuove generazioni aggiungono qualcosa di nuovo, di più contemporaneo, aprendo un lato inatteso negli accostamenti. La recente generazione, nelle opere o negli assemblaggi che realizza, non usa più soltanto degli oggetti, piantati lì, accomodati o accumulati alla rinfusa, ma ne modifica e varia l’insieme, fa fare alle cose assemblate dei percorsi, spesso ne reinventa lo stesso immaginario. Giocando tranquillamente e ironicamente sull’insieme, con uno sguardo più attuale e disincantato, ormai lontano dal feticismo dissacrante del Dadaista e dalla contemplazione esistenziale, parigina dei Novorealisti. Questo rende il loro lavoro particolarmente coinvolgente e fruibile al pubblico. E’ pur sempre lo sguardo inedito degli artisti sulle cose che ci aiuta a vedere in modo diverso il mondo che ci circonda.Perciò è stato con vero entusiasmo che ho accettato, quando l’amico Davide Scarabelli mi ha invitato a collaborare con lui per l’iniziativa che stava organizzando del 1. Simposio Internazionale d’Arte con Materiali di Riciclo “rifiutINarte”, per il Comune di Prignano sulla Secchia, ed ho invitato gli artisti italiani e stranieri che conoscevo e il cui lavoro trovavo inerente al tema proposto dalla rassegna.Tutte le opere degli artisti invitati erano categoricamente su questo tema: il riutilizzo dei rifiuti urbani, o industriali, nelle loro opere e ognuno di loro ha lavorato riutilizzando molti materiali che provenivano dal circondario. I risultati di questi lavori, le opere da loro create, si sono integrate nell’arredo urbano del paese e del paesaggio e fanno ormai parte del patrimonio della cittadinanza. Sperando che stimolino nell’osservatore il suo senso estetico oppure la sua reazione critica; avranno in ogni modo assolto alla loro funzione principale.A conclusione di questa mia introduzione e divagando un po’ sul tema mi ritorna in mente un paradossale esempio dell’utilità del “ciclo sociale del riciclo in una società” e come questo sia così ben descritto nell’antico detto popolare francese che, grosso modo, recitava: “erano gli avanzi della tavola del Principe che sfamavano i poveri della sua corte e i contadini delle sue terre, ma era la cacca dei poveri e dei contadini che concimava rendendo rigogliosi i frutti per la tavola del Principe”. Solletica enormemente la mia auto-ironia, data la professione che svolgo, l’idea di ritovarmi un giorno nelle sale di una prestigiosa casa d’aste di Londra o Parigi a comprare lo sportello del vecchio armadio di mia zia Arduina, che gettammo dopo la scomparsa, pagandolo fior di milioni di dollari per il solo fatto che uno degli artisti Pop più famoso lo ha riutilizzato in una sua opera.Un esilirante modello di ironia della sorte; ma anche un’esemplare insegnamento che la vita continua a fornirci, proprio nelle piccole cose quotidiane, e su cui varrebbe la pena di soffermarci più spesso a meditare.
E in questo compito gli artisti ci sono di grande aiuto, se non per altro.

Roberto Peccolo 3 agosto 2006