La Poesia non segue le quotazioni della Borsa.

Per Luciano

Per chi lo conosceva incontrandolo sporadicamente durante le mostre, i concerti, al cinema o a teatro Luciano Botti appariva un uomo simpatico e ben informato sulle cose; una persona che coltivava le sue conoscenze sugli argomenti e sugli avvenimenti, qualsiasi fosse il campo artistico, insomma quello che, una volta, avrebbero definito un uomo di “cultura”. Infatti lui continuava ad aggiornarsi incessantemente, approfondiva le cose che conosceva già o ampliava quelle a cui iniziava ad interessarsi. Di questo suo atteggiamento ne è un esempio eclatante la decisione di pochi anni fa di seguire le lezioni sulla Musica e la sua Storia che il prof. Daniele Salvini teneva per l’Università della Terza Età nelle aule di una Scuola media non lontano da Piazza della Repubblica. Pur conoscendole seguiva con piacere le lezioni dedicate alle Opere (quella tale e specifica opera oppure sul tale concerto di Beethoven, o Chopin) perchè durante la lezione il pezzo musicale veniva analizzato in ogni sua componente tecnica e con un approccio da molteplici angolazioni e risvolti. Lo entusiasmava apprendere i segreti del lavoro del musicista e la tecnica da lui usata nella composizione, particolari che erano magistralmente spiegati grazie alle parole chiare dello stimato insegnante. Spesso rientrando dalla lezione si fermava a vedere la mostra che avevo in Galleria e mi rispiegava con entusiasmo quanto aveva appena appreso.

Ma oltre a tutte queste sue passioni aveva una qualità insostituibile: era un “goloso” e una persona curiosa che si lasciava coinvolgere totalmente e nel profondo dal quello che scopriva. Così nasceva il suo amore per i libri d’arte, da quelli contenenti litografie o incisioni, alle monografie sugli artisti di cui seguiva il lavoro, comprando persino più di un libro o di una monografia se un artista lo interessava. Mi ha raccontato che spesso arrivava perfino a restare sveglio, oppure caricava la sveglia ad una certa ora della notte, per registrare, quando sapeva che sui canali TV (in particolare la notte sul TV3) venivano messi in onda servizi o documentari su artisti che aveva nella sua raccolta o di cui voleva capire maggiormente il lavoro. Oppure voleva soltanto rivedere e possedere in VHS quel vecchio film che amava molto. Anch’io ho approfittato di queste sue ricerche insonni per chiedergli di registrarmi vecchi film o documentari. A causa di questa passione era arrivato a riempire tutta la libreria e parte del salotto di cassette VHS e poi DVD.
Oltre a quanto descritto sopra, come dimostra questa esposizione, era anche un appassionato collezionista di arte contemporanea. Talvolta compulsivo nel cercare di acquisire almeno un’opera di un artista che lo colpiva e anche più di una, in alcuni casi. Le sue passioni pittoriche sono transitate dalla pittura informale, dagli anni 50-60 in poi, a quella della Pop Art italiana, fino alle recenti generazioni del terzo millennio più Concettuali o di Trans-Avanguardia.
Naturalmente anche Luciano, come molti livornesi, aveva dovuto superare la vecchia tradizione provinciale della “figuratività” nel quadro, aveva passato differenti tappe e attraversato varie fasi nel gusto con conseguenze anche nella sua raccolta. A mio parere lo sentivo ancora troppo “legato” ad una costante: quella della “rappresentazione”. Ma meglio di tante spiegazioni filologiche o critiche sulla sua collezione ci sono qui, in questo catalogo organizzato dagli eredi e curato dal suo amico Ivo Lombardi, le immagini dei quadri a parlare e a dimostrare la qualità e l’oculatezza delle sue scelte. Quando cominciò a frequentare la mia galleria, dopo la prima metà degli anni ’70, aveva una particolare predilezione verso gli artisti della pittura e della grafica neo-Realista del dopoguerra o della Nuova Figurazione, in quel momento “impegnati”e ben considerati sia nelle mostre che sul mercato. Durante le nostre conversazioni di quegli anni cercavo spesso di fargli focalizzare lo sguardo sulle opere dei Futuristi d’anteguerra e degli Astrattisti Concreti, che avevo esposto un paio di anni prima, oppure sull’Arte Concettuale o Minimalista che stavo appunto esponendo allora.
Ma le sue perplessità spesso restavano inalterabili: trovava tali artisti troppo “freddi” per il suo carattere “mediterraneo” e quindi lontani dal suo gusto. Malgrado questo non mancava di visitare le mie mostre. E poi continuava a parlarmi delle sue preoccupazioni circa la forte e reale, prepotente presenza di un mercato che rischiava di modificare i “valori” sia artistici che economici di tanti autori. Specie di quelli che lui amava di più. Spesso nelle nostre conversazioni arrivavamo ad un punto morto, senza via d’uscita: lui si arroccava sulle proprie perplessità, mostrandomi le recensioni e le valutazioni del mercato di quel momento e asserendo che tutto questo avrebbe in seguito travisato anche la riscoperta di alcuni valori storici e artistici del passato. E io, messo alle strette dalle sue concrete, evidenti argomentazioni non riuscivo che a rispondergli: «attenzione, perché la Poesia non segue le quotazioni della Borsa!». A volte le nostre mi sembravano delle vere e proprie, e inutili, conversazioni sul “sesso degli angeli”. Oggi posso dire, col senno di poi, che sarebbe bastato aspettare alcuni anni per vedere tutto il panorama artistico circostante completamente mutato, col risultato di dare ragione ad entrambi (sic!).
Ma un Collezionista, specialmente di opere d’arte contemporanea, dovrebbe essere qualcosa di più della somma delle quotazioni delle opere da lui possedute. E Luciano Botti infine lo è stato; è andato ben oltre e più lontano dell’ostentazione dei “valori” economici che rappresentavano i suoi quadri.
Fatte le dovute differenze di economia, di tempi e di luogo (non si può ignorare che Luciano ha sempre vissuto a Livorno) apparteneva con pieno diritto e psicologicamente a quel livello di alto comportamento a cui appartengono tutti quei collezionisti che hanno passato la maggior parte della loro vita a inseguire e raccogliere ciò che più li appassiona dell’arte e degli artisti. E di conseguenza si sono affezionati sia alle opere che all’autore e, riguardandosi con orgoglio ogni oggetto acquisito, ne ricostruiscono le ragioni e le motivazioni che li hanno indirizzati. Rivivono con la stessa ansia o entusiasmo il momento della scoperta dell’opera che immaginavano essere essenziale per la loro raccolta, placandosi soltanto una volta trovata (sarebbe quasi da dire la “riconoscono”) e, economia permettendo, riescono finalmente ad “inserirla” nella raccolta. Ė come se nel loro inconscio esistesse una sorte di immaginaria “Biblioteca di Babele” alla Borges che continua a chiedergli di essere riempita, ”completata” scatenando quell’energia vitale, compulsiva, difficilmente controllabile. Niente a che fare con l’altro tipo di collezionista che ci viene sempre più spesso descritto negli articoli specialistici e sulle riviste “patinate” di questi ultimi anni, e perciò oggi più d’attualità, colui cioè che cerca di possedere il maggior numero di “capolavori”, di avere i Top Ten, della classifica redatta dalla rivista più “in” del momento. Seguendo una tale visione sarebbe più opportuno definire questi degli “investitori” più che dei collezionisti e la differenza tra queste due posizioni qui descritte, fra le tante altre, eventuali, linee di comportamento, è sostanziale. In un caso si ha la passione, l’ossessione, fino a rasentare, forse la “malattia”. Nell’altro si ha la scommessa (con la segreta speranza di incassare presto), il calcolo della probabilità e la contemplazione del proprio “patrimonio”, determinata dall’investimento fatto.
Nel primo caso l’insieme delle opere è la costruzione di una Collezione che appartiene al proprio vissuto e ricorda il tempo in cui abbiamo scoperto e poi cercato quel tale quadro o quell’artista. Dove, o con chi, o perchè e in quale occasione quella tale opera è stata poi acquistata. Insomma anche i momenti e le emozioni dedicate alla raccolta appartengono si alla sfera personale della propria vita ma si compenetrano con le ragioni dell’esistenza di quelle opere, ci accostano alla personalità che l’ha prodotta e fanno rivivere il tempo storico in cui essa è stata fatta. Tutto questo, nell’insieme (nell’intimità) della raccolta, costituisce una “presenza”, una testimonianze di vita, che diventa “palpabile”, all’unisono con le opere. Prestando attenzione la si può ritrovare, “sentire”, guardando in quello spazio vuoto del muro che sta tra un’opera e l’altra.
Così una raccolta (come tutte le raccolte che abbiano il diritto di un tale riconoscimento) è allo stesso tempo uno strumento (conscio o inconscio che sia) della propria visione del mondo, ossia della simpatia che portiamo verso altre visioni, o almeno della ricerca di condividere o di avvicinarci ad una o più visioni del mondo affini alla nostra o da cui ci lasciamo affascinare.
Uno degli esempi più eccezionali in tale direzione è la Collezione di sculture ambientali che Giuliano Gori ha “costruito” insieme con gli artisti nel Parco della sua Villa Celle a Pistoia.
Basta solo visitarla per capirlo.
Un particolare significativo di questo atteggiamento si ha quando, nel mostrarti la loro Collezione, qualunque sia il valore economico o l’importanza storica, dell’insieme delle opere, o di quel certo “capolavoro”che sta appeso insieme con gli altri, alcuni Collezionisti indicano invece più volentieri e come amata maggiormente, quell’altra opera dall’apparente aria dimessa che vediamo là isolata in un angolo. Quell’opera dimessa sembra dover sostenere il “capolavoro” mentre il “capolavoro” condivide con essa l’epoca, la tematica e magari la qualità. Come in ogni storia i fatti che appaiono minori non sono poi affatto insignificanti, anzi sono proprio quelli che spesso ci chiariscono meglio l’insieme. Entrambi sono “costituiti” inscindibilmente sia dai particolari che dai fatti eclatanti.
Chi non sente come essenziale questo punto avrà poi difficoltà a comprendere quanto la “storia” e la “cultura” siano due concetti la cui stessa esistenza e memoria è diventata oggi sempre più indispensabile. Specialmente in una società come quella odierna che sta basando tutti i suoi valori esistenziali solo sulle traballanti basi del denaro e dell’apparenza.
Nel concludere questo mio scritto nella duplice qualità di promotore per alcune, poche, presenze in questa Collezione e, oggi, nella veste di ospite sulle pareti della mia galleria che funge da sostitutivo alle pareti della casa dell’amico Luciano non posso che formulare un auspicio o quantomeno suggerire l’illusoria ipotesi che una tale raccolta anziché finire dispersa e nell’oblio, com’è capitato a tante altre cose nella nostra città, possa venire accolta, tenuta unita e ospitata in uno spazio aperto al pubblico e agli specialisti. E magari anche ulteriormente arricchita nel tempo per una migliore conoscenza per le prossime generazioni sugli avvenimenti culturali succedutisi nel nostro territorio. Realizzare questa idea non sarebbe poi un grande dispendio economico e di energie, in una città che da molti anni spende troppo e male per conservare e proteggere con premi, mostre e libri una cultura divenuta ormai il fantasma di se stessa e alla quale, oggi, non è rimasto altro che il vacuo orgoglio di dichiararsi un “prodotto del territorio”.
Collezionare opere d’arte contemporanea non è poi, in fondo, che l’arte di raccogliere parti della memoria personale inserita in una storia collettiva in via di formazione e quindi vissuta o appena passata. E, per di più, è la strada migliore per indicare ad ognuno di noi il dovere inappellabile di conservare prima per poter divulgare poi.
29.05.2010