Lettera a Tristan Honsinger


T. Honsinger & K. Duck, galleria Peccolo 1981

Carissimo Tristan, ti ricordi...?

Fino dagli anni 1964-65, per questioni di mio interesse artistico in relazione con la pittura moderna astratta e concreta, avevo cominciato ad ascoltare dischi di musica contemporanea, definita allora dodecafonica: Schöenberg, Stravinskij e poi Stockhausen, Berio, Maderna oppure gli americani Ph.Glass, J. Cage o M. Feldman. 
Inoltre, mi ero appassionato al jazz, iniziando dal BeBop del dopoguerra per arrivare velocemente fino al free, degli anni dal ‘60 in poi, dei musicisti americani C. Parker, J. Coltrane, O. Coleman, M. Davis ecc.
Per questo quando ti incontrai la prima volta ascoltando i tuoi rumori, fraseggi, strilli e altre diavolerie dadaiste di cui eri capace di far sortire dal tuo violoncello durante un tuo concerto, non mi impressionai più di tanto ma, soprattutto, non lo rifiutai in toto come spesso capitava anche tra quegli che si dichiaravano interessati del jazz, che fosse più o meno free e improvvisato.

Fu così che una volta incontratoti a Roma, durante un festival, ti invitai a tenere un concerto “solo” da me, in galleria, nell’ottobre 1979. Quella sera il tuo concerto fu straordinariamente “folle” e, a parte me e pochi altri appassionati di free jazz estremo, seppi che non piacque al pubblico presente in galleria; erano intervenuti più per la curiosità e con la convinzione di ascoltare una musica che consideravano “ancora ascoltabile” anche se free.

A parte il risultato di quella sera ho avuto il piacere col tempo di frequentarti e diventare tuo buon amico e non ho mancato occasioni per invitarti ancora a Livorno a svolgere altre performance nella mia galleria da solo o in compagnia di altri musicisti tuoi amici come Sean Bergin, Barre Phillips oppure, quando ci riuscivo, ti organizzavo qualche serata in club o spazi pubblici dei dintorni.
Come sai, durante tutti gli anni ‘70/80 giravo spesso, per visitare e organizzare mostre d’arte contemporanea in Europa e specialmente in Germania e Olanda dove nasceva in quegli stessi anni un forte interesse per quel versante del free-jazz che avevano definito “creativo improvvisato”.
Tanti, infatti, erano i musicisti tedeschi che acquistavano buona considerazione e successo nei Festival specializzati di Musica Creativa Improvvisata per esempio Peter Kowald, Peter Brotzmann, Gunter Sommer, Barre Phillips e altri; ma anche la colonia degli olandesi attivi in questo settore era fitta: Han Bennink, Misha Mengelberg, Evan Parker, ecc.
Tutti musicisti che ruotavano intorno alla Globe Unity Orchestra e alla temeraria e innovativa casa discografica F.M.P. di Berlino.

Così in quegli anni le nostre strade si incrociavano spesso e ci ritrovavamo in qualche festival in cui tu suonavi e io ti ascoltavo, a volte con fatica, a volte con molto piacere. Fino a quando un giorno ho saputo che a Munster (oppure era Moers?) in Westfalia c’era in programma un festival di tre giorni di teatro/danza/e musica improvvisata. Scoprii che eri stato invitato a partecipare ed era stata invitata per la danza anche Katie Duck, all’epoca tua moglie. Ci organizzammo per fare il viaggio insieme e io mi proposi di trasportarvi gratuitamente con la mia auto e di guidare fino a Munster (o Moers?) città che conoscevo bene perché avevo organizzato delle mostre d’arte italiana nel Kunstverein locale.
A te il viaggio non sarebbe costato niente e a me dava soddisfazione l’idea di partecipare a un evento che reputavo in quel momento “fondamentale” perché riuniva tutti insieme ininterrottamente per tre giorni e tre serate molte delle formazioni e degli autori di quello specifico movimento che, altrimenti, agivano separatamente per concerti sparsi intorno all’Europa e per il mondo.
Infatti, i miei entusiasmi nei confronti di quella tre giorni erano derivati dall'illusione che questa fosse la buona occasione per fissare una storicizzazione a quella “situazione” che era in atto e che doveva amalgamarsi in qualcosa di più consacrante ma, soprattutto, ricevere finalmente un ampio riconoscimento dalla critica e dalla stampa e non fosse soltanto la famosa Globe Unity Orchestra che si riuniva in occasioni sempre più rare e dispersive. 

Questo era il pensiero che mi spinse con entusiasmo a essere presente all’evento. Partimmo carichi di entusiasmo e portai con me la mia piccola canon per riprendere e fotografare le serate e già mi prefiguravo un ampio articolo sull’avvenimento da pubblicare su una rivista tedesca, Kunstforum, con cui avevo una collaborazione per articoli su pittori, scultori e fotografi d’arte contemporanea. Nella mia mente vedevo un parallelo tra le formazioni che si davano battaglia e confronto sulle tavole del teatro locale di Munster (Moers?) e le sperimentazioni contemporanee che conoscevo e seguivo come gallerista in campo artistico e pittorico, portate avanti degli artisti visivi dal Fluxus dai Situazionisti e dalle performances del teatro d’avanguardia dei gruppi italiani quali “Magazzini Criminali”; “Gaia Scienza” e altri.

Carichi di “armi e bagagli”, come si dice, con il violoncello che occupava la parte posteriore e mi copriva parzialmente la retrovisione, guidai alla volta della Westfalia.
Non fu un viaggio molto tranquillo perché con te e tua moglie c’era anche la piccola Ilaria (allora doveva avere 2-3 anni) che ogni tanto faceva capricci e voleva fermarsi per essere cambiata o mangiare o muoversi un po’. Fu una lunga e faticosa giornata fino all’arrivo nella fredda sera del nord della Germania. Vi lasciai all'albergo prenotatovi dagli organizzatori e io andai in un hotel non lontano dal teatro.

Il giorno dopo, nel primo pomeriggio, cominciarono a susseguirsi le performance che salvo alcuni brevi intervalli per il cambio strumenti o innesti delle attrezzature, continuavano senza sosta fino alla serata e a notte inoltrata. In quei tre giorni ho assistito a molte azioni dettate dalla volontà di improvvisare con eclatanti trovate ma poche erano le personalità che riuscivano veramente a creare un unisono d’insieme con gli altri partecipanti. 
Musicisti, attori o danzatori che entravano o uscivano o restavano contemporaneamente sul palco. A chi non era abituato dovevano sembrare delle sarabande scatenate di personaggi un po’ pazzi in cerca di far risaltare la loro visione libertaria di musica e movimento scenico di stampo dadaista.
Però, che io mi ricordi, malgrado tutta la scena caotica che si svolgeva sul palco, non ci furono scontri o incidenti tecnici o esagerazioni estreme. Salvo quel momento quando un artista cercò di installare una bicicletta in bilico sopra il pianoforte mentre Misha Mengelberg stava suonando un suo pezzo da solo, rischiando così di rompere il piano e di far crollare la bici in testa al pianista.
Misha non si scompose più di tanto, continuò il suo intervento cambiandone il ritmo e la bici fu poi rimessa in terra. Malgrado tutta quella caotica insalata mista di gesti, movimenti e suoni, alla fine, qualche sprazzo di unità di intenti e di suoni all’unisono sono riuscito a sentirlo.

I tuoi duetti con Brotzmann o altri trombettisti o trombonisti come Evan Parker erano sempre improntati sulla velocità di esecuzione e sulla reciproca ricerca di una amalgama tra armonie e disarmonie correlate. Di quelle serate mi è rimasto indelebile la caoticità dei movimenti e degli interventi che si susseguivano ma anche quel sentimento di appagamento per i felici momenti di amalgama e unisono quando veniva raggiunto un “feeling” tra due o più partecipanti.


Tristan Honsinger Moers Festival improvv. musik, 1983

Ritornato a Livorno preparai un breve scritto accompagnato da foto b/n di quelle serate e lo inviai a Mainz alla redazione di Kunstforum che ne fece un bell’articolo di 4 pagine pubblicandolo nel numero uscito nel mese successivo. Purtroppo il tempo e la polvere sono calati per molti anni su questi avvenimenti e attualmente non saprei proprio dove ritrovare una copia delle rivista che mi farebbe piacere regalarti.
Invece, ho ritrovato i negativi da cui ho stampato alcune foto dove si vede te insieme con gli altri musicisti sul palco e Katie che danza lì vicino.
Spero che queste stampe risveglino in te un buon ricordo di quel periodo, di quelle tre serate e della nostra amicizia.

La scorsa settimana ho ricevuto i tuoi collages che mi hai spedito da N.Y.
Ti ringrazio, mi sono piaciuti molto e mi hanno ricordato formalmente, attraverso un materiale meno aleatorio della musica come la carta, le volute, i ghirigori e gli scatti da te fatti durante i concerti.
Spero vivamente che avremo ancora occasione di ritrovarci a breve anche se, purtroppo, dal 31 dicembre 2019 ho chiuso ogni attività della galleria. 
Ti confesso che mi piacerebbe molto averti mio ospite nello spazio che ho ancora e che vorrei dedicare a incontri culturali, per ascoltarti ancora una volta.

Ti auguro una migliore salute e che tu riesca a riprendere la tua musica con il tuo violoncello, unico amore della tua vita, che continua a seguirti e non aspetta altro che tu riprenda a suonarlo, principalmente, per la gioia tua e per chi, come noi, ti ascolta.
Spero molto che questo mio scritto di memorie ti faccia ricordare con nostalgia ma anche con affetto quegli anni in cui, tutti noi, eravamo più giovani e pieni di volontà creativa e voglia di fare; convinti che, grazie alle nostre azioni, qualcosa, prima o poi, sarebbe cambiato.
Sicuramente non era una rivoluzione, ma c’era almeno un pensiero di libertà creativa.

Un grande abbraccio da Livorno da me e dagli amici che ti ricordano con affetto, Steve, ecc. ecc.
Roberto